Punta Martìn per la Cresta Federici
Gita effettuata il 29 ottobre 2016
Via di roccia su serpentinite, qualità buona
Difficoltà della via: PD+ (un passo di III+)
Dislivello: 789 m
Dislivello della via: 350 m circa
Partecipanti: io
La via Federici-Picasso si svolge sulla ripida e selvaggia cresta sud di Punta Martìn. Venne tracciata dagli alpinisti genovesi Federici e Picasso nel 1906; oggi è abbastanza frequentata come palestra di arrampicata, insieme alle più note vie della Baiarda. Vista la vicinanza del mare, la quota modesta e l'esposizione a sud, la via è sgombra di neve e percorribile anche per la maggior parte dell'inverno.
Via di roccia su serpentinite, qualità buona
Difficoltà della via: PD+ (un passo di III+)
Dislivello: 789 m
Dislivello della via: 350 m circa
Partecipanti: io
La via Federici-Picasso si svolge sulla ripida e selvaggia cresta sud di Punta Martìn. Venne tracciata dagli alpinisti genovesi Federici e Picasso nel 1906; oggi è abbastanza frequentata come palestra di arrampicata, insieme alle più note vie della Baiarda. Vista la vicinanza del mare, la quota modesta e l'esposizione a sud, la via è sgombra di neve e percorribile anche per la maggior parte dell'inverno.
Non fatevi ingannare dall'altisonante scheda tecnica che è riportata qui sopra: non sono diventato un alpinista. L'attrezzatura utile che riporta Andrea Parodi in Nelle Alpi del Sole («cinque rinvii, fettucce lunghe, eventualmente qualche nut») non la possiedo e non l'ho noleggiata solo per quel giorno: ero in semplice tenuta escursionistica con scarponi e basta. Quel passaggio di III+ non l'ho neanche sfiorato. O meglio, l'ho visto dal basso e l'ho toccato, ma poi l'ho aggirato, come tutte le altre difficoltà della via.
Il bello della Cresta Federici a Punta Martìn (1001 m) è proprio questo: un escursionista esperto abituato a terreni impervi, con notevole tendenza all'imbriccamento e grandi dosi di imprudenza, la può risalire integralmente, aggirando tutti i passaggi di arrampicata su terreno "facile". Per questo sono sempre stato indeciso sul cosa farmene di questa gita: non potevo certo scrivere una relazione tecnica della via alpinistica, visto che avevo saltato tutti i passaggi chiave; ma non potevo neanche inserirla come semplice escursione, visto che non c'è un percorso obbligato, le difficoltà sono al limite dell'escursionismo, e bisogna conoscere molto bene Punta Martìn e i suoi rebighi per evitare di capitare in situazioni spiacevoli e pericolose. Quindi, alla fine, ho deciso di inserirla come racconto.
Il bello della Cresta Federici a Punta Martìn (1001 m) è proprio questo: un escursionista esperto abituato a terreni impervi, con notevole tendenza all'imbriccamento e grandi dosi di imprudenza, la può risalire integralmente, aggirando tutti i passaggi di arrampicata su terreno "facile". Per questo sono sempre stato indeciso sul cosa farmene di questa gita: non potevo certo scrivere una relazione tecnica della via alpinistica, visto che avevo saltato tutti i passaggi chiave; ma non potevo neanche inserirla come semplice escursione, visto che non c'è un percorso obbligato, le difficoltà sono al limite dell'escursionismo, e bisogna conoscere molto bene Punta Martìn e i suoi rebighi per evitare di capitare in situazioni spiacevoli e pericolose. Quindi, alla fine, ho deciso di inserirla come racconto.
La mattina del 28 ottobre 2016 mi sveglio con un gran mal di testa e un po' di nausea. Male, molto male, perchè il giorno dopo ho in programma un mega-giro in Val d'Àveto. Quindi, qual è il miglior modo di far passare il mal di testa e testare la condizione fisica? Ma è ovvio: bisogna fare un giretto all'Acquasanta. Senza mete precise o ambizioni di grandi scalate, prendo il primo treno per Acquasanta, e decido di incamminarmi verso la Colla di Prà. Prendo poi il sentiero Frassati che si addentra nella valle del Rio Condotti; quando il sentiero sale su a destra verso il Moccio lo abbandono, per guadare il Rio Condotti e prendere il sentierino non segnalato che porta alla Colletta di Termi (420 m). A tratti cammino bene, a tratti annaspo un po'; decido comunque di proseguire entrando nel vallone del Rio Baiardetta e traversando fino al Masso del Ferrante, dove bisogna guadare il rio.
A questo punto, nonostante la mia condizione non proprio ottimale, decido di entrare in modalità "esploratore" e passo in rassegna i rebighi da me non ancora esplorati della montagna che mi circonda. Tre anni prima avevo risalito integralmente il piccolo affluente del Rio Baiardetta che scorre subito a est rispetto alla Cresta Federici, e l'esplorazione mi era piaciuta davvero tanto; oggi le possibilità più gettonate sono l'altro piccolo rio che scorre a ovest della Cresta Federici (che mi farebbe sbucare sulla sella tra Punta Martìn e Rocca Calù) oppure la Cresta Federici stessa. Dopo averle soppesate un po', opto per la Cresta Federici: avendo letto la relazione di Parodi, so che tutti i passaggi difficili sono aggirabili. Mi prometto che se il terreno diventerà troppo ostico, tornerò indietro senza farmi troppi problemi.
Così prendo il Sentiero Carlo Poggio, che sulle prime costeggia il Rio Baiardetta sul lato destro idrografico, poi sale ripido con tornantini, guada un piccolo affluente e affronta l'ultima rampa che lo porta all'inizio della Cresta Federici. Abbandono ora il Sentiero Carlo Poggio, che va ad attraversare il Baiardetta e poi sale verso la Baiarda, e seguo i segnavia che si inerpicano tra le rocce e gli arbusti fino alla base dell'imponente Corno Stella, il grande torrione che dà inizio alla parte alpinistica della cresta. Il Corno ha assunto questo nome perchè replica in piccolo le caratteristiche dell'omonima spettacolare vetta delle Alpi Marittime. La via lo risale da est con un passo di II+; io sono imbranato e non mi fido, quindi lo aggiro. Sfruttando il fatto che a monte il torrione si salda direttamente alla cresta, cerco un terreno più facile, poi salgo per erba e roccette e arrivo comunque sulla sua aerea e allungata sommità (760 m circa).
Così prendo il Sentiero Carlo Poggio, che sulle prime costeggia il Rio Baiardetta sul lato destro idrografico, poi sale ripido con tornantini, guada un piccolo affluente e affronta l'ultima rampa che lo porta all'inizio della Cresta Federici. Abbandono ora il Sentiero Carlo Poggio, che va ad attraversare il Baiardetta e poi sale verso la Baiarda, e seguo i segnavia che si inerpicano tra le rocce e gli arbusti fino alla base dell'imponente Corno Stella, il grande torrione che dà inizio alla parte alpinistica della cresta. Il Corno ha assunto questo nome perchè replica in piccolo le caratteristiche dell'omonima spettacolare vetta delle Alpi Marittime. La via lo risale da est con un passo di II+; io sono imbranato e non mi fido, quindi lo aggiro. Sfruttando il fatto che a monte il torrione si salda direttamente alla cresta, cerco un terreno più facile, poi salgo per erba e roccette e arrivo comunque sulla sua aerea e allungata sommità (760 m circa).
Dal Corno Stella, la cresta prosegue con una serie di affilati dentini rocciosi, il cui superamento è abbastanza facile. In questo tratto, che alterna camminata a facilissima arrampicata, ho modo di guardarmi intorno: in particolare noto di fronte a me la cresta sud della Rocca Calù, che mi attira particolarmente. Prima o poi tornerò ad esplorarla. Arrivo poi alla base del mitico "tratto chiave" della via Federici: la paretina di III+, alta circa 8 metri. Dopo averla guardata un po' decido che è meglio aggirare anche questa difficoltà sul versante orientale. La mia condizione fisica sta lentamente migliorando: se sento di annaspare mi fermo a riposare e bevo un po' d'acqua, ma queste "soste tattiche" si stanno per fortuna facendo sempre più rare.
Sfruttando un ripidissimo canalino ritorno in cresta e ne percorro un altro breve tratto facile, fino a che essa non si salda contro il pendio terminale di Punta Martìn. Si entra adesso in un ambiente spettacolare: ripidissimi canaloni erbosi, separati da contrafforti rocciosi, guglie e speroni; il panorama verso ovest, oltre lo sbocco della valle del Baiardetta, si fa sempre più vasto, anche se c'è un po' di foschia sul mare. Avanzando un po' sul terreno ripido scorgo in alto sulla destra la principale attrattiva della Cresta Federici, e il motivo principale per cui mi sono spinto fin quassù in esplorazione: il Dito Mondini, curioso pinnacolo roccioso che sembra sfidare la forza di gravità.
Per osservare il Dito da vicino risalgo un ripidissimo canalone di rocce ed erba. Finito di fare le foto di rito mi guardo un po' intorno e mi accorgo che sono finito in un vicolo cieco: sono circondato da balze rocciose per me troppo difficili, e non riesco bene a capire dove passa la via. Visto che non mi sembra il caso di chiamare il Soccorso Alpino per farmi recuperare, l'unica via d'uscita è tornare indietro qualche metro e imboccare un altro canalone, che mi sembra più abbordabile. La manovra di scendere a quattro zampe aggrappato ai ciuffi d'erba mi dà qualche brivido (le foto non rendono: quei canaloni sono estremamente ripidi), ma si tratta solo di qualche metro, e poi mi sposto su terreno più facile.
Con un minimo di ravanage, approdo su una comoda cengetta pianeggiante; la percorro avanti e indietro qualche volta in cerca della via più facile per salire; la vetta deve essere abbastanza vicina, quindi non ha senso arrendersi adesso. Dopo alcuni tentativi, alcuni saltini rocciosi e alcuni arditi aggiramenti, riesco a riconoscere l'ultimo passaggio della via Federici come descritto da Parodi: una curiosa spaccatura, quasi un mini-tunnel, che passa attraverso una paretina rocciosa e permette di approdare a monte. Percorro la spaccatura con un facile passo di arrampicata e una breve salitella su detriti muschiosi, quindi supero una macchia di arbusti e sbuco su un dosso: finalmente appare la croce di vetta di Punta Martìn, distante poche decine di metri.
Subito prima della vetta mi vado a ricongiungere con la "via accademica" che sale da Acquasanta. Qui incontro improvvisamente due escursionisti che, vedendomi sbucare letteralmente dal nulla, mi chiedono da dove diavolo io sia salito; dico loro che ho fatto la Cresta Federici. Forse non ne hanno mai sentito parlare, fatto sta che mi guardano come se fossi pazzo, e hanno perfettamente ragione. In ogni caso, sono arrivato in cima alla Punta Martìn e manca poco a mezzogiorno, quindi mi faccio uno spuntino mentre osservo il panorama. È una giornata curiosa: sotto gli 800-900 metri di quota ristagna una densa foschia, di colore bianco sul mare, di colore grigio-nerastro sulla Pianura; dal mare di foschia sbucano tutte le vette delle Alpi e dell'Appennino Ligure, tra cui l'appuntito Monviso e l'immancabile Monte Rosa. Mi emoziono sempre quando riesco a vedere il Monte Rosa dalle montagne liguri.
Decido di scendere a piedi fino a Pegli, seguendo il sentiero segnalato con un pallino rosso. Ha piovuto molto nei giorni scorsi, quindi spero di trovare qualche fungo di pino. Non ne trovo, ma in compenso trovo una marea di Amanita muscaria, che è velenosa ma estremamente fotogenica.
In conclusione: la Punta Martìn è da sempre una delle mie montagne preferite (se non la mia montagna preferita; se la gioca con il Monte Réixa e due o tre vette della Val d'Àveto), e questa non è la prima e non sarà l'ultima esplorazione fuori sentiero alla scoperta dei suoi angoli più nascosti. Mi sono divertito moltissimo a "ravanare" attorno alla cresta rocciosa per trovare passaggi per me abbordabili, e ho avuto un solo momento di "smarrimento" subito risolto. È ovvio che un percorso del genere può essere intrapreso se: a) si ha esperienza di alpinismo, o si è con qualcuno che ha esperienza di alpinismo, e allora si può percorrere la via Federici in tutta sicurezza; b) si è abituati al ravanamento su terreni al limite dell'escursionismo e si conosce la montagna in questione come le proprie tasche. La maggior parte della gente che si avventura su di qua fa parte della categoria "a", io rientro nella categoria "b"; per tutti gli altri è consigliabile scegliere un altro percorso.